Andando ogni sera al suo lavoro, Samantha passava di fronte al bar di Alfredo.
L’insegna sbilenca al neon troneggiava sulla vecchia vetrina sbiadita piena di bottiglie di vino e liquori ormai scaduti, pasticcini di marzapane scoloriti e vecchie cianfrusaglie omaggio di commessi viaggiatori frettolosi che oramai non si fermavano più in quel locale.
Samantha era di casa. I pochi clienti rimasti a quell’ora la conoscevano bene e al suo ingresso tutti, con un irrefrenabile impeto di galanteria, si alzavano barcollanti per l’alcool.
«Samantha, mon amour! Sei uno splendore stasera» le gridò Jenny facendosi largo fra gli avventori.
Jenny, Gennaro all’anagrafe, era un maturo viveur che passava le sue serate lì al bar. Fra gli amici si raccontava che da giovane fosse stato il parrucchiere personale di Gina Lollobrigida e che avesse avuto una grande storia d’amore con Luchino Visconti. Nessuno poteva giurare di averlo visto di persona, ma faceva piacere a tutti passare le serate al bar con una celebrità.
«Lasciami perdere, stasera. Vengo da una settimana terribile. Sono stata influenzata e non ho potuto lavorare. Poi guarda che faccia che ho, Jenny!»
Samantha era ancora una donna bellissima ma mostrava tutti i segni dei suoi cinquant’anni. Era costretta a tingere i neri capelli che le scendevano sulle spalle e a truccarsi pesantemente per coprire il suo viso solcato dalle rughe. Cercava di nascondere il collo con leggeri foulard di seta ma le piacevano spacchi, trasparenze e decolletè vertiginosi.
«Non ti preoccupare fata» la riprese Jenny «hai il mantello della notte che ti nasconderà.»
Samantha uscì dal locale lasciando dietro di sè il suo dolce profumo e continuò seguendo il marciapiede. C’era una brezza che le rigonfiava il vestito leggero, insinuandosi tra i capelli come le dita di un’amante e li scompigliava insieme ai suoi pensieri.
Samantha vendeva l’amore, proprio accanto alla Museo Archeologico. Lì trascorreva le sue notti di lavoro alla luce dei lampioni che la facevano sembrare una vera diva sul palcoscenico in attesa del pubblico.
Il colore ambrato delle luci piaceva tanto ai suoi clienti che glielo avevano confessato più di una volta. Faceva risaltare le sue forme e le colorava il viso mostrando la bocca carnosa che scatenava indicibili visioni.
Ma mentre si avvicinava alla sua postazione di lavoro, si accorse che qualcosa non andava. Da lontano il museo sembrava di un colore diverso dal solito, quasi azzurrognolo e le luci somigliavano a quelle del suo vecchio frigorifero di casa.
Chiese un po’in giro a qualche collega che le svelò l’amara verità. Il sindaco, nella settimana in cui Samantha era mancata, aveva fatto sostituire i vecchi lampioni a vapori di mercurio con dei nuovissimi lampioni a LED. Risparmio garantito, riduzione della manutenzione e luce più chiara e netta.
Il brevetto era di una ditta di Milano e quella operazione era stata sbandierata sulla stampa come una grande innovazione per la città.
Diciamocela tutta, una vera tragedia. Samantha alla luce di quei lampioni sembrava un cadavere, le si vedevano le occhiaie, le rughe intorno alla bocca e anche un po’di cellulite che aveva accumulato e che le sbucava suoi fianchi. La luce era abbagliante e le dava anche fastidio agli occhi. Non riusciva a riconoscere le auto che si avvicinavano e accostavano in cerca di compagnia.
Quella sera pochissimi clienti si fermarono, solo i più affezionati. Preferirono le sue colleghe più giovani a cui non servivano trucchi cinematografici per essere piacenti. Samantha si sentiva impacciata, quasi fuori luogo.
Accendeva una sigaretta dopo l’altra mentre le auto veloci sfrecciavano davanti a lei e non la degnavano neanche di uno sguardo.
Tornò a casa all’alba. Era sconvolta per la lunga notte ma soprattutto era furiosa per la faccenda dei lampioni. Si buttò sul letto e stette al buio mentre il tempo passava. Doveva fare qualcosa e decise. Sarebbe andata in Comune a chiedere spiegazioni a chi di dovere.
La mattina seguente indossò un casto tailleur di velluto blu, rimise a posto il trucco e bevve velocemente un caffè preparato con la moka. Non era abituata ad uscire così presto e varcando la soglia di casa ricordò che l’ultima levataccia era stata per il funerale del padre. Il tailleur era lo stesso.
Dopo più di un’ora di anticamera riuscì a parlare con la segretaria del sindaco a cui spiegò che aveva una certa urgenza di essere ricevuta. Millantò amicizie in alto loco e approfittò di un buco nell’agenda per un appuntamento disdetto all’ultimo momento. Il sindaco poteva riceverla.
Bussò timorosa alla porta, il cuore le batteva a mille. Era abituata ad avere a che fare con gli uomini ma solo nel suo territorio dove si sentiva veramente sicura.
Il sindaco era seduto di spalle impegnato in una telefonata. Senza degnarla di uno sguardo le indicò di accomodarsi. Samantha si sedette sull’ unica sedia libera della stanza. Le altre erano stracolme di borse, riviste e cataloghi.
Quella voce, però, le era familiare. Cercò di associarla ad un volto, ma senza successo. Pensò che non poteva averla sentita in un comizio né tanto meno in qualche talk show visto che non frequentava le piazze di giorno e non aveva neanche la TV.
La telefonata terminò ed il sindaco si voltò sfoderando un bel sorriso da campagna elettorale che si spense subito non appena si rese conto di chi fosse la sua ospite. Seguirono secondi interminabili di silenzio fra i due. Samantha lo conosceva bene e il sindaco altrettanto.
L’incontro durò a lungo e furono annullati diversi appuntamenti. Nessuno seppe mai cosa si fossero raccontati quei due ma da quel giorno il lampione di fronte al Museo tornò a risplendere di una luce calda e ambrata.
Motivo ufficiale, la tutela e la promozione di uno dei principali patrimoni della città.