Ero appena rientrato dalle vacanze estive. Una sola settimana ma intensa, come mi aveva insegnato il mio povero babbo, strenuo sostenitore della relatività einsteiniana applicata alla movida. Tesi, forse, poco scientifica, ma che funzionava alla grande.
Entrai nel bar di Susy che mi accolse col suo consueto sorriso artificiale.
“Ma guarda chi si rivede stasera. È ritornato pure mister Entropia!“, esclamò.
Era stata proprio lei, qualche mese prima, ad affibbiarmi quel nomignolo, dopo i miei vani tentativi di spiegare agli avventori del suo locale che, per lavoro, mi occupavo delle leggi della termodinamica. Risultato: tutti erano convinti che facessi l’avvocato e avevano cominciato a chiamarmi con quel nome altisonante, coniato tempo addietro da Rudolf Clausius che, per la cronaca, non era un difensore del Borussia Dortmund.
“Dove sei stato di bello Entropì ?” mi chiese Susy, asciugandosi le mani.
“Quest’anno in Grecia, a Ios. È un isolotto delle Cicladi…”.
“Ce sei annato co’ l’areoplano?”, Melchiorre mi interruppe ruvido, seduto al solito posto, di fianco al bancone.
“Penso che a nuoto mi sarei fatto un gran culo, amico mio”, gli risposi ironico, “specialmente per le due valigie stracolme e la racchetta da tennis !”.
“Immagino che hai preso un 747…”, aggiunse, per dare l’impressione all’uditorio di conoscere l’argomento anche se, in realtà, ne sapeva di aerei quanto il suo termosifone ne poteva sapere di filosofia.
Melchiorre era un bidello del liceo scientifico Avogadro ancora in servizio, purtroppo per loro. Corpulento, sgradevolmente saccente, coi i capelli corvini sempre tinti di fresco. In cuor suo detestava il genere umano e sentiva un bisogno smisurato di dimostrarlo in ogni occasione, sia con le parole che con i fatti.
“Faceva caldo?” mi chiese Susy.
“Caldo? Un inferno”, le risposi. “Anche quelli del luogo boccheggiavano. Sono gli effetti del cambiamento climatico. “
“A Melchiò, che dici de stò cambiamento climatico?” gli chiese Lucio, impiegato dell’INPS in pensione, che passava le sue giornate a rivedere le puntate di Superquark sullo smartphone.
“Il cambiamento climatico? Ah ah ah ah….”, il grande saggio dello sgabello ci scaraventò addosso una sonora risata, dopo essersi asciugato la bocca con il dorso della mano.
“Ma nun lo capite che è tutta n’invenzione? L’altra sera, in tivvù, un tizio ha detto che duemila anni fa faceva molto più caldo de adesso e ce so’ le prove che i romani annavano a scuola col cammello”.
“Col cammello? Quindi, gli scienziati se sbagliano?”, disse Lucio con gli occhi fissi sullo schermo del cellulare.
Melchiorre si alzò senza degnarlo di una risposta, ripose la sua Settimana Enigmistica nella tasca del borsello e ingoiò l’ultimo bicchiere di sambuca.
“Torno a casa pe’ cenà “, annunciò alla platea.
In quel momento, accadde qualcosa di inimmaginabile. Un enorme tuono partì dal suo sedere, attraversandogli i pantaloni. Uno squillo di tromba ininterrotto di dieci secondi che fece tremare le finestre del bar.
Tutti, nel piccolo locale, rimasero attoniti. Poi la puzza li colpì.
“Madre santa!” esclamò Lucio.
Forse il cibo comprato dal cinese la sera prima non era stata una buona idea, pensò Melchiorre.
Le porte del bar furono spalancate e pure le finestre sul retro. Susy attivò il ventilatore al massimo. Dopo pochi minuti, l’odore si era sufficientemente dissipato da permettere a tutti i presenti di respirare di nuovo tranquillamente.
Fuori, nel frattempo, una confluenza di vortici e brezze aveva spinto il peto di Melchiorre verso il cielo. In pochi secondi, quella nuvola nociva aveva raggiunto l’atmosfera ed il suo arrivo non fu accolto propriocon gioia da Madre Natura.
Incredibile! Insieme ai miasmi provenienti dagli allevamenti e dai fumi di scarico emessi, in quel momento, dalle metropoli di tutto il mondo, l’umile contributo di Melchiorre divenne la goccia che fece traboccare il vaso.
E così, nei mesi successivi, varie crisi climatiche partirono come le tessere di un domino, generando un aumento improvviso della temperatura.
Nonostante avesse innescato inconsapevolmente l’apocalisse globale, Melchiorre continuò la sua grama esistenza anche se, grazie all’ epico episodio di fragorosa flatulenza, era diventato una specie di celebrità al bar di Susy.
L’estate lasciò il posto all’autunno.
“Entropì, ho sentito pe’ radio che l’Artico diventa sempre più caldo”, mi disse Susy un giorno, mentre sorseggiavo un caffè corretto.
“È normale”, aggiunse Melchiorre. “Prima se lamentavano che faceva troppo freddo e mò se lamentano che fa troppo caldo. Se decidessero una volta pe’ tutte.”
“Hai ragione,” concordò Lucio.
Ma con il passare delle settimane, il suo disprezzo nei confronti delle notizie sulle catastrofi meteorologiche in tutto il mondo continuava ad aumentare.
“Se questa cosa del cambiamento climatico dovesse mai essere vera, allora me chiedo perché nun se vedono ancora i pesci palla che nuotano a Fiumicino o le antilopi che corrono a Villa Borghese?”, si chiese, di fronte al suo uditorio al completo in quel pomeriggio di ottobre, mentre ci accalcavamo tutti nel bar e il vento fuori strideva, preannunciando l’arrivo di un uragano.
Con l’avvicinarsi del Natale, le notizie diventarono sempre più dominate da storie meteorologiche e climatiche. I carciofi e i broccoletti scarseggiavano a causa delle settimane di pioggia monsonica e un tornado era passato sugli allevamenti e aveva aspirato intere greggi di abbacchi e li aveva lasciati cadere nel lago di Bracciano.
“Tanto quei poveri stronzi morivano uguale. Ce li saremmo magnati entro un paio de settimane, al forno con le patate”, disse Melchiorre. “Almeno hanno provato l’ebbrezza del volo, poveri stronzi.”
Il Natale fu un disastro. A parte la carenza di agnelli, il tetto del bar di Susy era volato via, ma la gente del quartiere si era radunata e in pochi giorni e ne aveva costruito uno nuovo.
Ormai le cose stavano diventando così strane che persino Melchiorre se ne era accorto.
“C’era un cazzo di gabbiano nel mio giardino l’altro giorno”, disse agli altri nel bar. “Il bastardo mi fissava a bocca aperta mentre facevo colazione.”
“Ma qui siamo a trenta chilometri dal mare,” esclamò Lucio.
“Sicuramente non è normale”, aggiunse Susy.
“Proprio pe’ niente”, disse Melchiorre malinconicamente. “Però fa tutto parte del flusso. Se ce pensate bene, vivere più vicino al mare potrebbe anche esse divertente”.
“Ma se continua così”, disse Lucio, “diventiamo come Venezia.”
“E comprate na gondola”, sogghignò Melchiorre. “Te metti un cappello de paglia in testa e na bella maglietta a righe. Sai che spettacolo? Ah ah ah “.
L’acqua del mare stava risalendo il Tevere e invadendo la città. I tornei di briscola del sabato pomeriggio si tenevo con stivali di gomma ai piedi e la settimana successiva le cose andarono anche peggio. Ventotto centimetri d’acqua ora coprivano i piedi dei giocatori e Susy comunicò loro che se il livello dell’acqua si fosse alzato, avrebbe dovuto chiudere le porte.
Melchiorre organizzò rapidamente una raccolta fondi per comprare una pompa ma Madre Natura aveva un ultimo colpo di scena da offrire.
Era sabato pomeriggio e, come al solito, Melchiorre e gli altri erano nel bar, seduti su un metro d’acqua quando un’enorme onda si abbatté su di loro e tutti si ritrovarono nell’acqua fino al mento. A quel punto, Melchiorre si rese conto che erano nei guai.
“Dovremmo comprà na pompa più grande”, disse.
Improvvisamente, lo sgabello gli volò via da sotto il sedere, mentre lui e gli altri caddero sott’acqua. Anche se era completamente sommerso, Melchiorre continuava a tenere la sua sambuca sopra la linea di galleggiamento.
Un minuto dopo, riemerse per prendere aria e non perse l’occasione per bere un sorso del suo drink. Poi affondò ancora una volta.
Susy lo guardava impotente mentre era aggrappata a una colonna ed era sicura che il suo cliente più prezioso se ne fosse andato, ma la testa di Melchiorre tornò a galla.
“Pare che l’acqua se sta a ritirà”, disse.
“Basta co’ ste stronzate” gridò Susy alzando gli occhi al cielo.
“In effetti,” gorgogliò Melchiorre, mentre un branco di pesci palla gli passava davanti agli occhi, “questo potrebbe avè a che fa col cambiamento climatico, forse…”.