Due volte l’anno mio figlio viaggia nel tempo, con una macchina che abbiamo costruito insieme quando era piccolo. Una volta vola nel passato e una nel futuro, nei giorni in cui il mondo passa dall’ora solare a quella legale e viceversa. Ma lui non lo sa.
Anche se gli sta un po’stretta, si siede nella scatola di cartone con la scritta Macchina del tempo migliore dipinta sulla fiancata, indossando il suo equipaggiamento protettivo: un’armatura di scatole di cereali fissate insieme col nastro adesivo e un casco da bicicletta oversize con bottoni colorati incollati sulla parte superiore.
Oggi è un giorno speciale per i viaggi nel tempo. Alle due del mattino si aprirà la porta temporale e potremmo saltare avanti di un’ora. A lui piacerebbe che il salto fosse più lungo, ma gli ho sempre detto che non si può pretendere troppo da una macchina fatta in casa. Si siede nella scatola aperta e finge di allacciarsi la cintura di sicurezza.
Sorrido, chiudendo la parte superiore della macchina. «Andiamo nel futuro.»
Faccio avanzare velocemente il tempo impostando tutti gli orologi alle tre, tenendo conto dei secondi che passano. La scatola inizia a vibrare. A Carlo piacciono le turbolenze aggressive e ho sempre paura che possa ribaltarsi.
«Cinque, quattro, tre, due… decollo», dico da sopra la sua spalla.
Applaude e la sua voce trema insieme al corpo, «Evvvvivaaaaaaaaaaaaaaa!»
Cerco di nascondere le mie risate. Mentre la Macchina del tempo migliore rimbomba e geme, sfrecciando tra secondi, minuti, ore, penso a quanto lontano viaggerei nel futuro. Forse fino alle sette, quando sua madre si sveglierà per andare al lavoro. Prenderà lo zaino e le chiavi agganciate vicino alla porta d’ingresso e andrà a salutare Carlo che ancora dorme. Lui mormorerà: «Mamma» e ritornerà a russare. Io, comincerò la mia giornata nel piccolo studio aspettando di uscire per accompagnarlo a scuola
O forse viaggerei avanti di venti anni per vederlo cresciuto mentre siede a cena con la sua piccola famiglia e racconta la storia dell’ultimo film che ha scritto. Il cinema è sempre stata la sua passione e le interminabili ore davanti alla tivù gli hanno insegnato tanto.
«CRAAAsshhhh», urla. L’atterraggio è grande, magnifico. La scatola si ferma di colpo. Mio figlio è finalmente sbarcato nel futuro.
Sento gli effetti sonori provenire dalla scatola, lo scatto dell’interruttore di spegnimento, lo scatto dei motori. Mentre armeggia con i comandi, tiro fuori dal frigo una torta al cioccolato per festeggiare.
Quando esce dalla macchina gli vado incontro con la torta e ne mangiamo due belle fette.
«Papà», mi abbraccia, «Dovremmo tornare indietro adesso?»
Provo a sollevarlo per tenerlo tra le mie braccia. È troppo grosso, ma ridacchia quando lo scuoto da una parte all’altra. Non so cosa rispondere, quindi non parlo. Voglio stare qui con lui, alle tre voglio scappare dal presente ancora per un po’.