“Papà corri, c’è un mostro!” urlavo dalla mia stanza, piangendo.
E lui arrivava di corsa, come sempre, pronto a rassicurarmi.
“Dov’è?” mi chiedeva con un sorriso consolante.
“Nell’armadio, dietro agli sportelli e mi sta guardando!”, gli rispondevo terrorizzato.
Allora restava tutta la notte ad accarezzarmi i capelli e mi prometteva che sarebbe stato li a fare la guardia, così il mostro non sarebbe più tornato.
Ora il mostro è dentro di lui e quasi non apre più gli occhi. Lo osservo da dietro al vetro della sala di rianimazione. Non posso entrare. Ho il corpo e la testa avvolti da una tuta bianca. Il mio respiro è affannato per la maschera che mi copre il naso e la bocca, il suo per la polmonite che gli stringe il petto fino a farlo esplodere.
“Sta resistendo”, hanno detto i colleghi, “nonostante l’età, sembra che il suo cuore non voglia fermarsi”.
Il cuore, il cuore. Mi sembra di sentirlo battere da quaggiù il suo cuore.
“Penso di essere innamorato”, gli confessai in un giorno di primavera .
Si sedette per ascoltarmi e parlare con me dei cuori innamorati.
“Non mi ama più, papà, so che non mi ama”, gli dissi piangendo qualche tempo dopo.
E anche quella volta e tante volte in seguito si sedette per ascoltare e parlare con me di cuori spezzati.
Ora io sono seduto qui fuori, accanto a lui. Vorrei stringergli la mano, come tante altre volte ha tenuto la mia. Ma la sua mano è lontana, troppo lontana e da quaggiù sembra quasi senza vita.
Cerco di capire cosa gli passi per la mente in questo momento. Spero che non abbia tanta paura e che sappia di non essere solo.
Stai tranquillo pà. Il mostro non tornerà mai più.
#iraccontidellazonarossa