Tutti sogniamo. A volte il sogno è brutto, a volte bello. In molti casi dipende da cosa abbiamo mangiato la sera prima. Libanese, pizza o anche il sushi, che non digerisco affatto. Sarà per via di tutto quel riso. Noi meridionali non siamo abituati al riso. È come per il brodo, oppure il thè. Sono cose che ti danno da piccolo quando sei disturbato di stomaco. E quindi, appena li assumiamo senza un motivo di ordine terapeutico, il nostro corpo si ribella e li rigetta come fossero organi non compatibili.
O forse, i sogni dipendono da come siamo fatti. Ansiosi o creativi, insicuri o con profondi dubbi interiori, influenzati dai nostri desideri, dalle preoccupazioni o dai nostri ricordi.
Comunque, per farla breve, l’altra notte ne ho fatto uno decisamente strano. Ero tornato a casa esausto, dopo una giornata di lavoro interminabile e mi sono sdraiato sul divano, con addosso la mia copertina verde acqua, regalo di un compleanno passato.
Senza accorgermene ho chiuso gli occhi e mi sono ritrovato all’ assemblea condominiale, seduto in una delle solite sedie scomodissime, circondato dai soliti vicini che da sempre raccolgono le deleghe di tutti gli altri.
In prima fila, il maresciallo Capuzzo, il mio dirimpettaio. Uomo taciturno, in pensione da quando lo conosco. Ha uno sguardo penetrante che mi fa scorrere brividi lungo la schiena, come se fossi uno spacciatore di hashish. Sembra sempre un passo avanti a tutti, come se conoscesse i segreti più reconditi di ogni condòmino.
Seduta accanto al maresciallo la professoressa Foglia, una anziana signora dalla voce roca e gli occhi vivaci. Porta con sé un’aura di saggezza e mistero, come se avesse vissuto mille vite in un’unica esistenza. Sempre pronta a condividere aneddoti e pettegolezzi sulla vita degli altri, trasforma ogni riunione in un palcoscenico di intrighi e segreti.
Due file più dietro, i vicini del primo piano. Una coppia singolare che fa davvero impazzire la mia immaginazione. Da lontano, sembrano tranquilli e ordinari, ma grazie a Capuzzo abbiamo scoperto il loro oscuro segreto.
I rumors che circolano nel condominio dicono che siano dei fascisti della prima ora, con un passato legato a movimenti estremisti. La cosa più incredibile è che nel loro appartamento coltivano marijuana sul balcone, in piena vista di tutti. Le piante verdi e rigogliose che danzano al vento sembrano essere l’emblema della loro eccentricità.
Ma non è tutto. La coppia ha anche due mastodontici Rottweiler, che abbaiano in continuazione e fanno tremare le pareti del palazzo. Sembrano in perfetta sintonia con la sconvolgente energia che aleggia intorno a loro, come se il caos fosse la loro firma personale.
L’ordine del giorno della riunione era la ristrutturazione del palazzo, una decisione che sembrava aver contagiato tutti, tranne me.
L’ingegner Boschi, il tecnico incaricato dei lavori, ha iniziato a descrivere i dettagli tecnici con un linguaggio criptico, pieno di sigle e termini incomprensibili.
Poi, all’improvviso: «Ventimila euro a testa per la facciata, millecinquecento per la caldaia e duemilacinquecento per le finestre delle scale», ripeteva Boschi.
Guardavo gli altri partecipanti all’assemblea, cercando qualche segno di disappunto, ma sembravano essere tutti rapiti dalle visioni grandiose di un palazzo rinnovato.
Mentre Boschi continuava a parlare, la mia mente vagava tra i volti dei miei vicini di casa. Capuzzo sembrava affascinato dall’idea di un palazzo moderno e sicuro, pronto a difendere gli abitanti da ogni sorta di pericolo. La signora Foglia, con il suo fare curioso, stava prendendo appunti come se stesse partecipando di una conferenza di filologia romanza. E i vicini del primo piano, con i loro sguardi sprezzanti, sembravano non interessarsi minimamente ai costi, come se il denaro non fosse per loro un problema.
Mi sentivo come un estraneo in quella bizzarra commedia, circondato da personaggi dalle personalità così diverse. Ero il rappresentante dei nullatenenti, che non potevano pagare una somma così elevata senza gli incentivi fiscali.
A un certo punto, ho preso una decisione. Non potevo permettere che il sogno si tramutasse in realtà, non potevo affrontare il peso finanziario di quella ristrutturazione. Così, senza esitazione, mi sono svegliato. Era come se avessi preso una fuga, una via di scampo dai problemi che il sogno stava cercando di impormi.
La mattina successiva, uscendo di casa per andare al lavoro, ho incrociato nelle scale la professoressa Foglia. Il suo sguardo penetrante mi ha colto di sorpresa. «Sai, ieri sera ti abbiamo cercato all’assemblea», mi ha detto con un tono leggermente accusatorio. «Sei sparito, senza dire una parola».
Mi sono sentito colto in flagrante, come un colpevole sorpreso sul luogo del delitto. Ho cercato di giustificarmi, dicendo che era solo un sogno, che i soldi non erano reali. Ma la donna ha scosso la testa, come se non fosse convinta delle mie parole.
«Non importa se era un sogno», ha detto con fermezza. «Avevamo bisogno del tuo voto per la ristrutturazione. Non puoi sottrarti così alle tue responsabilità».
Ho sentito un nodo allo stomaco. Era come se il sogno stesse ancora seguendo i miei passi, come se il confine tra il reale e l’irreale si stesse sfumando sempre di più. E così, ho preso una decisione: quella sera avrei dormito a casa di mio fratello, sperando di sfuggire alle richieste dei creditori onirici.
La notte è trascorsa tranquilla. Mi sono addormentato con un senso di sollievo nella cameretta di mia nipote, sperando che i sogni bizzarri non mi avrebbero raggiunto. E, per fortuna, ho dormito profondamente, immerso in un sonno senza sogni.
Al mattino, sono tornato a casa, ma la mia gioia è stata di breve durata. Appena ho aperto la porta, mia moglie mi ha affrontato con uno sguardo preoccupato.
È successo una cosa», mi ha detto «Ho avuto un sogno la notte scorsa. La professoressa Foglia che ti cercava. Ha detto che dobbiamo pagare dei soldi al condominio. Tu già sai. Ma ci sono problemi? »
