Lo incontro ogni sera.
Sempre allo stesso tavolo, vicino alla finestra. Carta e calamaio, sguardo fisso nel vuoto. Scrive, poi si ferma. Guarda davanti a sé come se qualcuno dovesse dargli una risposta.
Verso il tè con calma, il liquido caldo scivola nella tazza. Un filo di vapore si alza, si attorciglia in aria prima di sparire. Lui lo fissa.
Non mi guarda nemmeno.
«Monsieur Carnot.»
Niente. Potrei essere un pezzo del mobilio. Potrei versargli il tè sulla giacca e forse neanche se ne accorgerebbe.
Sfiora la tazza con un dito, come a controllare se è vera. Il vapore gli scivola via.
Poi, piano, senza distogliere lo sguardo: «Jean, voi che servite il tè ogni sera, ditemi: dove va a finire il calore?»
Lo guardo. Il café è pieno, ho da fare. Mi chiamano da un altro tavolo. E lui vuole sapere dove va a finire il calore?
Faccio spallucce. «Scalda l’inverno, monsieur.»
Sorride, ma non sembra soddisfatto.
«E poi?»
«Il tè? Nello stomaco.»
Ride, piano. È la prima volta che lo sento ridere. Poi indica l’aria sopra il tavolo.
«Il calore, Jean. Dove va a finire?»
Mi appoggio al vassoio. «Eh… si perde?»
Scuote la testa. Sembra quasi dispiaciuto per me.
«No, Jean. Non si perde. Si sposta.»
Ora mi tocca pure un indovinello.
Traccia un segno sul tavolo con il dito. «Pensate a un fiume. Scende dalla montagna, gira la ruota di un mulino. Il calore fa lo stesso. Scorre sempre da dove è più caldo a dove è più freddo.»
Indica il vapore che si dissolve nell’aria. Lo fissa come se volesse fermarlo con gli occhi.
«E noi lo lasciamo fuggire.»
Solleva la penna, traccia un cerchio su un foglio.
«Le macchine a vapore funzionano, sì. Ma sprecano calore. Ne usano solo una parte. Il resto si disperde, come questo vapore. E se potessimo usarlo tutto con una macchina perfetta?»
Tengo il vassoio ben saldo tra le mani. Il padrone mi sta guardando male. Ho il sospetto che se resto ancora qui mi farà sparire più in fretta del vapore.
«Monsieur, non sono un ingegnere. Io servo il tè. E se non lo bevete subito, si raffredda.»
Sorride. «O possiamo capire come sfruttarlo meglio.»
Continua a scrivere. Cerchi, numeri, frecce. Lui sta pensando alla macchina perfetta. Io penso che il padrone mi taglierà la paga.
Mi allontano. Il café torna a essere un café. Ordini, risate, passi veloci.
Ma prima di voltarmi lo guardo un’ultima volta.
Lui è sempre lì, la testa china, la penna che scorre sul foglio.
Il vapore continua a salire dalla tazza. Lui lo segue con lo sguardo, come se potesse afferrarlo.
E ho come l’impressione che, in un certo senso, lo farà davvero.
