Il laboratorio odora di olio e ottone, di tempo intrappolato tra gli ingranaggi lucidi. Trascorro le mie giornate a sistemare meccanismi precisi, regolando il battito di piccole macchine che scandiscono le ore.

Una mattina di novembre, lo vedo entrare. Ha l’aria di chi misura il tempo più che viverlo. Sembra uno di quei clienti che vogliono un orologio perfetto al secondo e si mettono a contare i ticchettii, scrutando ogni oscillazione del bilanciere.

Forse oggi è il giorno buono per vendere un orologio, penso. Gli affari, ultimamente, non vanno un granché. Guardo il taschino del suo gilet. È vuoto. Forse vuol comprare.  

«Ditemi,» chiede fissando la parete piena di pendole e quadranti, «chi è che dà il tempo? Il bilanciere o la molla?»

Io sono solo un apprendista, ma rispondo con sicurezza, perché il maestro non tollera esitazioni: «La molla, monsieur. Si carica e poi rilascia l’energia poco alla volta, in modo regolare.»

Lui sorride, come se quella risposta gli fosse piaciuta ma, al tempo stesso, lo avesse lasciato insoddisfatto. Si avvicina al banco e prende in mano l’orologio che stavo riparando. Ne osserva i meccanismi come se stesse leggendo una formula segreta.

«Quindi,» dice, «se io arrotolo una molla e poi la lascio andare, il tempo si muove?»

Annuisco. È ovvio.

«E quando la molla si è scaricata?»

«Il tempo si ferma.»

Lui scuote la testa. «No. Il tempo continua. Solo l’orologio si ferma.»

Resto zitto. Filosofi e clienti senza soldi, la combinazione peggiore. Almeno quelli che comprano pagano e se ne vanno. Ma lui non è qui per un orologio… purtroppo!

«Dove va a finire l’energia della molla?» domanda, sempre senza guardarmi, come se parlasse a un vecchio pendolo che oscilla senza interesse.

«Si esaurisce.»

Lui ridacchia. «Amico mio, niente si esaurisce. Nulla si perde. Tutto si trasforma.»

Lo dice con la sicurezza di chi sta spiegando a un pesce che l’acqua è bagnata. Indica la molla smontata sul banco.

«L’energia che ci mettiamo dentro quando la carichiamo non scompare. Diventa movimento. E poi calore.»

Calore? Guardo l’orologio con sospetto. Mi sembra freddo come sempre. Lui pare divertirsi.

«Pensate a una carrozza,» continua. «I cavalli corrono, ma poi si fermano. La loro forza non sparisce, diventa calore nel loro corpo. Lo stesso vale per le grandi macchine a vapore che fanno girare i mulini o pompano l’acqua dalle miniere. E per questa molla.»

Mi avvicino all’orologio, lo sfioro con un dito. Non mi pare caldo. Non ribatto, ma qualcosa dentro di me si smuove, come una rotella ben oliata.

Lui riprende il cappello, accenna un saluto e si avvia alla porta. Non ha comprato nulla, come immaginavo ma, prima di uscire, lancia con naturalezza una moneta sul banco.

«Per il disturbo,» dice, senza smettere di sorridere.

La moneta tintinna. Quando la raccolgo, è calda. Strano. O forse no. L’energia non si perde mai, giusto?

«Ma ditemi, monsieur… se tutto si trasforma, possiamo far durare il tempo per sempre?»

Lui si ferma, si volta, sorride.

«No, caro mio. Ma possiamo capire come usarlo meglio.»

Esce. Io resto a fissare l’orologio, che continua a ticchettare, inesorabile. Tic. Tac. Tic. Tac.

Forse, per la prima volta, sento davvero il suono dell’energia che non si perde mai.


Lascia un commento