Erano entrati in silenzio, quasi senza salutarsi.

L’ultimo chiuse la porta alle sue spalle con un gesto lento, come a separare il mondo di fuori da quello di dentro.

La sala era semplice, severa. Sempre la stessa da tempo immemorabile.

Il decano Callegari si alzò. «Dunque. È giunta l’ora.»

Nessuno parlò. Solo il fruscio delle sedie, quando tutti si misero comodi.

Da giorni si aspettava e, nel frattempo, si speculava.

«Sarà giovane?»

«Sarà conservatore?»

«Cambierà tutto?»

Si iniziò.

Il primo scrutinio andò in fumo. Bianco? No, grigio. Non era ancora il momento.

Nomine incerte, voti dispersi. Alcuni invocavano figure del passato, altri sussurravano nomi ignoti. Uno scrisse semplicemente: «Che Dio ci aiuti. »

Il secondo scrutinio fu peggio.

Mormorii, teste scosse.

«Non c’è unità», disse qualcuno.

Il terzo fu quello della svolta. La tensione si tagliava col coltello.

Fu allora che Torelli, uno dei più anziani, capelli radi e respiro misurato, alzò il capo e con voce tranquilla, quasi mistica, sussurrò:

«Se c’è bisogno… posso accettare il peso.»

Un silenzio religioso calò su tutti.

Alcuni abbassarono lo sguardo, altri annuirono lentamente.

Torelli, Torelli, Torelli, Torelli, bianca, bianca, Torelli, Torelli…

Il decano annuì.

«È deciso. Torelli.»

Fu aperta la finestra.

Un velo di fumo bianco si alzò nella notte.

Era del sigaro del signor Costa, acceso come da tradizione.

La voce del portinaio risuonò sommessa ma solenne: «È fatta.»

Solo più tardi, mentre firmavano il verbale accanto al preventivo dell’idraulico, qualcuno lo disse davvero:

«Abbiamo l’amministratore.»

E la porta si richiuse, tra il rumore lento della calcolatrice e la domanda più urgente.

«E ora con l’antenna centralizzata come facciamo?»


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