Sono rientrato a casa che faceva quasi giorno. I piedi sfiancati. I vestiti sporchi di cori, di fumo e di bandiere passate di mano in mano.
Avevo ancora addosso il boato di piazza Plebiscito. Le urla impazzite. Le lacrime sconosciute di uomini con i capelli bianchi che chiamavano Maradona, come se fosse ritornato a Napoli per l’occasione. O forse non se n’era mai andato. Solo emigrato, come tutti noi.
Non mi sono seduto. Ho acceso la luce in cucina. Il tavolo vuoto mi guardava. Mi aspettava come ogni sera. Solo che stamattina sembrava più largo. Più difficile da riempire. Come certi silenzi a cena, quando dici «Tutto a posto» e nessuno ci crede.
Mia moglie dorme. Ha fatto bene. Tra due ore la sveglia suona. Va a pulire scale al Vomero. Scale nobili, ma sporche come tutte le altre.
Ieri sera mi ha detto: «Vai, ma non ti perdere.» E io ho sorriso. Come un fesso. Che manco sapevo che ci si poteva perdere in mezzo alla felicità. Anche perchè non ci succede molto spesso.
La verità è che non mi sono perso. Mi sono ricordato.
Me lo sono ricordato quando ho visto un ragazzo, che poteva essere mio figlio, quello che non mi parla più, arrampicarsi su un semaforo e gridare al cielo. L’ho guardato. E mi sono detto: «Pure lui ha bisogno di vincere qualcosa.» Anche se è solo una partita.
Io ne ho perse tante di partite. Il lavoro a quarant’anni. L’orgoglio poco dopo. Un fratello, per una stupidaggine tra rioni. E poi ho perso pure la voglia di spiegare ai miei cosa provo quando sto zitto. Perché a volte stare zitto è l’unico modo per non spaccare tutto.
Ma stanotte Napoli ha vinto. E io non so spiegare bene che cosa significa.
Non è felicità, non solo. È una sospensione. Una specie di miracolo da discount.
Come se per un momento ci fossimo staccati dal selciato, dai conti, dalle bollette dell’Enel che arrivano sempre puntuali, pure quando il resto non arriva mai.
Siamo saliti su un gradino. Uno solo. Ma da là sopra, per un attimo, ci siamo visti tutti interi. E non eravamo male.
Ho camminato tra le strade e ho pensato che forse anche Dio, se esiste, stanotte tifa Napoli.
O magari ha fatto una scommessa alla SNAI. Che tanto pure lui, ogni tanto, si deve distrarre.
Adesso sto qui. Con la giacca ancora addosso. La voce roca. E sento un vuoto che non è tristezza. È solo silenzio dopo il frastuono. È il tempo che ricomincia a camminare. Lento. Come le mie giornate. Come certe file all’INPS.
Ma stanotte, almeno stanotte, ho creduto che vale ancora la pena di aspettare qualcosa. Anche se non sai bene che cosa.
Un gol di Lukaku. Una parola gentile. O solo una scusa per sentirti vivo.
