Basta con questa storia che bisogna partire dai bambini

“Bisogna partire dai bambini.” Lo diciamo spesso, con la convinzione di pronunciare una verità indiscutibile. È la frase che chiude ogni dibattito e apre ogni conferenza sul futuro del pianeta. Una formula rassicurante, perché sposta la responsabilità avanti nel tempo e lontano da noi.

Ma se guardiamo ai fatti, non regge. Dal punto di vista biologico, il cervello di un bambino non è una versione incompleta di quello adulto. È un sistema diverso, progettato per esplorare e non per consolidare.

La corteccia prefrontale, quella che governa il pensiero logico, la pianificazione, l’autocontrollo, matura solo intorno ai vent’anni (alcune ricerche dicono 25). Fino ad allora domina l’emisfero dell’immaginazione, della curiosità, dell’empatia immediata.

Lo sviluppo neuronale segue una logica di potatura. All’inizio il cervello è una foresta di connessioni, poi seleziona e rafforza solo quelle utili alla sopravvivenza. Tradotto: da piccoli possiamo percepire il mondo in modi che da adulti abbiamo disimparato.

Per esempio, i bambini vedono più sfumature di colore, sentono più suoni, elaborano le emozioni senza ancora la gabbia del linguaggio. Non distinguono tra reale e possibile: vivono in un campo di energia continua, dove tutto comunica con tutto.

E noi cosa facciamo? Li trasciniamo nel nostro mondo misurato, dove l’energia si calcola in kilowattora e l’immaginazione si concede solo nel tempo libero. Li lodiamo quando ragionano da grandi, quando rispondono con logica e prudenza, quando sembrano già pronti per un consiglio di amministrazione.

E quando organizziamo le attività nelle scuole, ci convinciamo di averli convinti, come se bastasse un laboratorio o un progetto a cambiare la loro visione del mondo. In realtà, siamo noi che abbiamo bisogno di sentirci efficaci, non loro di diventare più simili a noi.

Eppure, stiamo accorciando la loro infanzia cognitiva, quella finestra magica in cui il pensiero simbolico e quello intuitivo convivono.

Lo dicono anche le neuroscienze. Il gioco e la fantasia non sono fughe dal reale, ma le prime forme di pensiero complesso.

Jean Piaget lo chiamava pensiero preoperatorio: il bambino non separa l’emozione dal concetto, il corpo dall’idea. Antonio Damasio, più tardi, ha dimostrato che ogni decisione razionale poggia su una base emotiva.

Ciò nonostante noi adulti, nel nome dell’efficienza, continuiamo a educare come se emozione e ragione fossero rivali.

“Bisogna partire dai bambini”, dicono.

No! Bisogna lasciarli dove sono, in quel territorio fragile e potentissimo dove il sapere non ha ancora paura di sbagliare. Non chiediamogli di pensare da adulti. Non pretendiamo che abbiano consapevolezza energetica quando la loro forma di consapevolezza è già pura connessione con il mondo.

Il problema non è che i bambini non capiscono. È che noi non ricordiamo più come si capiva prima di capire tutto.

Forse la vera sfida non è partire da loro, ma ripartire da noi, dal nostro cervello invecchiato che ha disattivato i circuiti della curiosità, dalla nostra visione energetica ridotta a tabelle di consumo, dal nostro modo di pensare che scambia la complessità per maturità.

I bambini non devono essere il punto di partenza.

Devono restare il punto di riferimento mentre noi impariamo, finalmente, a tornare umani.


Una replica a “Basta con questa storia che bisogna partire dai bambini”

  1. Avatar Briciolanellatte

    Bellissima e interessante riflessione. Ora guarderò i bambini con un altro occhio. Grazie

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