Smetto quando voglio ?

Alla fine, ci sono andato in comunità, non ne potevo più. Anche perché ne hanno messa su una non lontano da casa mia e conosco un po’di gente che la frequenta. Quattro palazzi e un grande giardino. Si chiama ‘Gli amici di Artemide’, come la dea della luce. Hanno avuto gli incentivi dalla Regione perché dicono che stia diventando un vero problema per tutti e che dobbiamo aspettarci delle terribili conseguenze. Lo dice anche il mio amico Gianmaria.

Io ho cominciato a usarla da piccolo, come tutti quelli che stanno lì. Prima ne consumi talmente poca che nemmeno te ne accorgi, ma poi inizi ad aumentare sempre più la dose e ne perdi il controllo. Gli adulti sono i peggiori. A casa, in ufficio, in palestra. Da solo e insieme agli altri. E ti sembra tutto così normale.

Dove la compravo? La trovi ovunque e non c’è nemmeno bisogno di uscire di casa. I fornitori li conoscono tutti, indirizzo e numero di telefono compresi e puoi cambiarli senza problemi. Non si arrabbiano, anzi. Ne vendono talmente tanta che di clienti c’è piena la città.

In genere, quella che arriva da fuori è la migliore. Ne puoi usare parecchia, tutta insieme o poco per volta. L’unico problema è che quando ti arriva la devi consumare subito. Non la puoi conservare, altrimenti non funziona più.

A dire il vero, c’è anche la possibilità di farsela da solo, in casa. Non è molto difficile. Vendono il kit, tutto compreso. Però non sempre ti viene bene e poi non è molto facile passarla agli amici.

Lì in comunità è tutto diverso. Ci insegnano che è possibile farne a meno quando non serve. Stiamo anche provando a montare tutti insieme uno di quei kit per farcela da noi e condividerla.

Io non ci dormo la notte. Cammino sudato per la stanza buia, trattenendo i desideri di un tempo e cercando di convincermi che potrei vivere meglio se solo fossi capace di usare meglio il cervello.

Gran brutta bestia…l’energia!

ENZEB – Il serious game dedicato all’efficienza energetica

Enzeb è un gioco educativo rivolto a tutte le fasce di età ed è un gioco che serve a sensibilizzare, informare il target rispetto ai temi della riqualificazione dell’edilizia degli edifici.

Abbiamo scelto questa questo strumento perché è uno strumento soprattutto analogico, uno strumento fisico, qualcosa che potesse mettere a contatto le persone che avevano bisogno di rapportarsi, affrontarsi e quindi discutere di tecnologie, di comportamenti, ma soprattutto discutere di qual era la strategia migliore per riqualificare il proprio condominio. Quindi il divertimento, la partecipazione, la partecipazione a un momento di incontro finalizzati a rendere meno pesante, meno dura la scelta da parte di un condominio di riqualificare energeticamente scegliendo le migliori tecnologie.

Il gioco sarà disponibile attraverso vari soggetti sul territorio nazionale e formeremo i conduttori, i conduttori sono i master, sono soggetti che possono utilizzare il gioco per formare condomini, per formare clienti di tecnici oppure giovani delle scuole superiori, delle università, in modo tale da trasformare un po’ la cultura del cambiamento e quindi portarli verso una scelta motivata, una scelta condivisa per quanto riguarda il tema dell’efficienza energetica, quindi noi il nostro obiettivo è rendere questo gioco disponibili.

Siamo partiti da Parma, per renderlo disponibile su tutto il territorio nazionale, attraverso dei partner che ci aiuteranno a coinvolgere il nostro target, che sono cittadini, piccole e medie imprese, anche pubbliche amministrazioni, attraverso soggetti che porteranno nelle case, delle associazioni, nei luoghi di incontro Enzeb.

Wattora siamo e Wattora ritorneremo

Papà me lo aveva tanto raccomandato. «Quando sarà il giorno, ricordati di avvisare l’ingegner Casati. Ti lascio il suo numero! Non fare come tuo solito.»

E quella mattina di marzo, mentre lo guardavo disteso in pigiama sul suo letto, occhi chiusi e mani raccolte sul petto mi ritornarono in mente le sue parole.

Casati era un collega di mio padre. Un uomo magro, dalla faccia ossuta e con il labbro superiore esageratamente ampio. Avevano condiviso tanti anni di lavoro all’estero e un’amicizia sincera. Mio padre strutturista e lui ingegnere termotecnico con la passione della fisica e della musica.

Gli comunicai al telefono la triste notizia insieme all’indirizzo della chiesa in cui, l’indomani, si sarebbe tenuta la celebrazione.  

La funzione scivolò via veloce, complice un battesimo che si sarebbe svolto subito dopo, fino a che il sacerdote non invitò sul altare chi avesse voluto dire due parole per ricordare il caro estinto.

Casati si alzò lentamente dal suo banco in ultima fila e con incedere mesto si avviò verso la balaustra di travertino.

Tirò fuori un foglietto dalla tasca del soprabito sdrucito e cominciò.

«Volevi che parlassi al tuo funerale ed eccomi qui. Volevi che dicessi alla tua famiglia che la tua energia non è morta.»

Un silenzio pregno di imbarazzo riempi le tre navate della cattedrale.

«Cara Matilde», rivolto a mia madre, « cari tutti. C’è una legge in fisica che dice che nessuna energia viene creata nell’universo e nessuna viene distrutta. Tutta l’energia di Ernesto, ogni sua vibrazione, ogni watt del suo calore, ogni onda di ogni particella rimane tra noi in questo mondo. Oltre che tra le energie del cosmo, alle quali ha dato tanto quanto ha ricevuto.»

A un certo punto scese i due gradini su cui era salito e si avvicinò a mia madre affranta, lì nel banco,

«Tutti i fotoni che sono rimbalzati sul tuo viso, tutte le particelle il cui percorso era stato interrotto dal tuo sorriso, dal tocco dei tuoi capelli, centinaia di trilioni di particelle, sono andate via per sempre da te. Però, tutti i fotoni che sono rimbalzati su di lui si sono raccolti nei tuoi occhi e quei fotoni hanno creato dentro di te costellazioni di neuroni caricati elettromagneticamente e la loro energia continuerà per sempre.»

Nessuno aveva il coraggio di parlare, compreso Don Alfredo che però sembrava accusare quelle parole.

«Ricordate che buona parte della nostra energia viene emessa sotto forma di calore. Vedo alcuni di voi che si sta sventolando con i messali. E il calore che vi ha attraversato in vita è ancora qui, fa ancora parte di tutto ciò che siamo.»

Ripose il foglietto nella tasca e sul suo volto sembrò nascere un leggero sorriso, mentre i suoi occhi si illuminarono guardando lontano, oltre la bara che giaceva sul pavimento coperta di fiori.

«Non avete bisogno di avere fede. Anzi, non dovete avere fede. Gli scienziati hanno misurato con precisione la conservazione dell’energia e l’hanno trovata accurata, verificabile e coerente nello spazio e nel tempo. Quindi, potete esaminare le prove e convincervi che la scienza è solida e che la sua energia è ancora in circolazione.»

«Perchè, il caro Ernesto non è sparito. È solo meno ordinato.»

Wattora siamo e Wattora ritorneremo.

La macchina del tempo migliore

Due volte l’anno mio figlio viaggia nel tempo, con una macchina che abbiamo costruito insieme quando era piccolo.  Una volta vola nel passato e una nel futuro, nei giorni in cui il mondo passa dall’ora solare a quella legale e viceversa. Ma lui non lo sa. 

Anche se gli sta un po’stretta, si siede nella scatola di cartone con la scritta Macchina del tempo migliore dipinta sulla fiancata, indossando il suo equipaggiamento protettivo: un’armatura di scatole di cereali fissate insieme col nastro adesivo e un casco da bicicletta oversize con bottoni colorati incollati sulla parte superiore. 

Oggi è un giorno speciale per i viaggi nel tempo. Alle due del mattino si aprirà la porta temporale e potremmo saltare avanti di un’ora. A lui piacerebbe che il salto fosse più lungo, ma gli ho sempre detto che non si può pretendere troppo da una macchina fatta in casa. Si siede nella scatola aperta e finge di allacciarsi la cintura di sicurezza.

Sorrido, chiudendo la parte superiore della macchina. «Andiamo nel futuro.»

Faccio avanzare velocemente il tempo impostando tutti gli orologi alle tre, tenendo conto dei secondi che passano. La scatola inizia a vibrare. A Carlo piacciono le turbolenze aggressive e ho sempre paura che possa ribaltarsi.

«Cinque, quattro, tre, due… decollo», dico da sopra la sua spalla.

Applaude e la sua voce trema insieme al corpo, «Evvvvivaaaaaaaaaaaaaaa!»

Cerco di nascondere le mie risate. Mentre la Macchina del tempo migliore rimbomba e geme, sfrecciando tra secondi, minuti, ore, penso a quanto lontano viaggerei nel futuro. Forse fino alle sette, quando sua madre si sveglierà per andare al lavoro. Prenderà lo zaino e le chiavi agganciate vicino alla porta d’ingresso e andrà a salutare Carlo che ancora dorme.  Lui mormorerà: «Mamma» e ritornerà a russare. Io, comincerò la mia giornata nel piccolo studio aspettando di uscire per accompagnarlo a scuola

O forse viaggerei avanti di venti anni per vederlo cresciuto mentre siede a cena con la sua piccola famiglia e racconta la storia dell’ultimo film che ha scritto. Il cinema è sempre stata la sua passione e le interminabili ore davanti alla tivù gli hanno insegnato tanto.  

«CRAAAsshhhh», urla. L’atterraggio è grande, magnifico. La scatola si ferma di colpo. Mio figlio è finalmente sbarcato nel futuro.

Sento gli effetti sonori provenire dalla scatola, lo scatto dell’interruttore di spegnimento, lo scatto dei motori. Mentre armeggia con i comandi, tiro fuori dal frigo una torta al cioccolato per festeggiare. 

Quando esce dalla macchina gli vado incontro con la torta e ne mangiamo due belle fette.

«Papà», mi abbraccia, «Dovremmo tornare indietro adesso?»

Provo a sollevarlo per tenerlo tra le mie braccia. È troppo grosso, ma ridacchia quando lo scuoto da una parte all’altra. Non so cosa rispondere, quindi non parlo. Voglio stare qui con lui, alle tre voglio scappare dal presente ancora per un po’.

Smetto quando voglio ?

Alla fine, ci sono andato in comunità, non ne potevo più. Anche perché ne hanno messa su una
non lontano da casa mia e conosco un po’di gente che la frequenta. Quattro palazzi e un grande
giardino. Si chiama ‘Gli amici di Artemide’, come la dea della luce.

Hanno avuto gli incentivi dalla Regione perché dicono che stia diventando un vero problema per tutti e che dobbiamo aspettarci delle terribili conseguenze. Lo dice anche il mio amico Gianmaria.

Ho cominciato a usarla da piccolo, come tutti quelli che stanno lì. Prima ne consumi talmente poca che nemmeno te ne accorgi, ma poi inizi ad aumentare sempre più la dose e ne perdi il controllo. Gli adulti sono i peggiori. A casa, in ufficio, in palestra. Da solo e insieme agli altri. E ti sembra tutto così normale.

Dove la compravo? La trovi ovunque e non c’è nemmeno bisogno di uscire di casa. I fornitori li conoscono tutti, indirizzo e numero di telefono compresi e puoi cambiarli senza problemi. Non si arrabbiano, anzi. Ne vendono talmente tanta che di clienti c’è piena la città.

In genere, quella che arriva da fuori è la migliore. Ne puoi usare parecchia, tutta insieme o poco per volta. L’unico problema è che quando ti arriva la devi consumare subito. Non la puoi conservare, altrimenti non funziona più. A dire il vero, c’è anche la possibilità di farsela da solo, in casa. Non è molto difficile. Vendono il kit, tutto compreso. Però non sempre ti viene bene e poi non è molto facile passarla agli amici.

Lì in comunità è tutto diverso. Ci insegnano che è possibile farne a meno quando non serve. Stiamo anche provando a montare tutti insieme uno di quei kit per farcela da noi e condividerla.

Io non ci dormo la notte. Cammino sudato per la stanza buia, trattenendo i desideri di un tempo e cercando di convincermi che potrei vivere meglio se solo fossi capace di usare meglio il cervello.

Gran brutta bestia…l’energia